PREMESSA
Per spiegare cosa significa parlare delle immagini dell’organizzazione, dal mio volume La leadership nelle moderne strutture organizzative, edito nel 2000, traggo i seguenti spunti.
Vi possono essere definizioni più o meno complesse del concetto di organizzazione e della sua natura, ma sicuramente è da convenire sulla sua caratteristica di istituzione sociale le cui attività, coordinate nell’autorità e nelle responsabilità, sono dirette al raggiungimento di fini comuni.
Qualcuno potrebbe rilevare che gli obiettivi generali non necessariamente debbano coincidere con quelli di ogni appartenente, dovendosi almeno distinguere priorità e tempi; altri punterebbero il dito verso un’eccessiva semplificazione definitoria che finirebbe per racchiudere dentro di sé ben poco: superiamo pertanto questa difficoltà senza affrontarla compiutamente, poiché ci è poco utile al prosieguo del presente lavoro; riflettiamo solo su aspetti che forniscano luce sul futuro di queste istituzioni; è certo che un’organizzazione non è solo un sistema formalizzato di regole, ma un complesso di relazioni intercorrenti tra norme e atteggiamenti formali e informali[1].
DEFINIZIONI DI ORGANIZZAZIONE
Sadler (1995) definisce l’organizzazione una forma d’architettura sociale e Robb (1981) sottolinea che, al di là dei fattori che la determinano, esiste un’arte dell’organizzazione, in quanto i ruoli degli stessi fattori organizzativi mutano d’importanza relativa in funzione degli scopi e delle condizioni contingenti. E l’arte è percezione soggettiva della realtà, per quanto condivisa da molti; è trasferimento e proiezione di emotività, a tal punto che noi osserviamo solo ciò che inconsciamente ci piace osservare di questa realtà.
In passato, nella ricerca affannosa di paragoni, si è passati dall’idea di organizzazione quale sistema meccanico (legato al concetto di burocrazia, di weberiana memoria), fatto di rigide regole e parcellizzazioni, al concetto di sistema organico, assimilando una struttura “artificiale” al corpo umano: una metafora biologica che individua nell’interazione delle parti l’elemento importante di vita e sviluppo ma, soprattutto, ridefinisce lo scopo ultimo di qualsiasi organizzazione non nel profitto o nel contingente soddisfacimento dei bisogni dei suoi componenti o di una collettività esterna, bensì nella lotta contro l’“invecchiamento” e la decadenza. Si lavora, quindi, con la prospettiva della sopravvivenza, alla ricerca di una perenne fase di sviluppo.
Altri hanno preferito sottolineare nell’organizzazione il carattere di sistema sociotecnico, rilevando l’importanza primaria della tecnologia nell’influenzare la progettazione organizzativa (e nell’esserne influenzata); in tal senso si pone l’accento sul fatto che il cambiamento tecnologico si traduce pressoché invariabilmente in cambiamento sociale.
ORGANIZZAZIONE E TECNOLOGIA
Tuttavia, da tempo è stato abbattuto il paradigma per il quale la tecnologia sia orientata alla stretta strutturazione di compiti, ruoli e mansioni: la diffusione informatica, ad esempio, ha dimostrato che ha prodotto alternativamente centralizzazione e decentramento, dequalificazione e riqualificazione del personale. Negli anni cinquanta e sessanta, l’ipotesi del ‘determinismo tecnologico’ perse dunque la partita, quasi per colpa della stessa evoluzione tecnologica[2]. In altre parole la tecnologia può dettare regole comportamentali magari nuove, ma può anche liberare il lavoro più creativo e professionale.
Da ultimo vogliamo citare l’osservazione che assimila una qualsivoglia organizzazione a un sistema cibernetico, cioè capace di rilevare automaticamente il proprio comportamento e regolarsi correggendo da sé gli eventuali errori di comportamento. È da riflettere che non si tratta di un concetto sviluppatosi all’ombra della diffusione della tecnologia informatica, ma ad essa precedente. Dal principio “sbagliando s’impara”, un automa cresce nelle sue competenze: l’organizzazione impara da sé e dai propri errori.
I PILASTRI DI UNA BUONA ORGANIZZAZIONE
Da questa impostazione, per quanto limitata, scaturiscono tre importanti elementi di grande attualità:
- la “memoria” di un’organizzazione, alla base delle sue potenzialità di autoapprendimento;
- la formazione permanente, per sostenere gli individui a forme di correzione dei comportamenti e delle procedure sulla base di feedback di esperienza;
- infine la strategicità delle riunioni interfunzionali e del lavoro in team, così da sviluppare in tutti gli appartenenti la possibilità di correzioni di rotta in corso e, addirittura, l’anticipazione di criticità (feedforward).
A tal fine i classici indicatori di risultato (legati al vecchio management by objectives), così spesso utilizzati da strutture particolari quali sono le imprese, sono quantomeno affiancati dagli indicatori di comportamento, che sostengono il personale nella gestione dell’imprevisto e lo conducono più facilmente verso principi di regolazione attraverso parametri qualitativi.
CONCLUSIONI
La parzialità di qualsivoglia definizione è sin troppo evidente, ma ognuna di esse ci porta a riflettere su caratteristiche non del tutto vere, ma neanche completamente false: le immagini e l’immaginario ci aiutano, così, a sviluppare quelle sensibilità che fanno, di ciascuna persona, un leader potenziale, cioè un soggetto capace di orientarsi con confidenza e dimestichezza (se non addirittura con mestiere) nei fluidi meandri organizzativi.
[1] Williams, K.C., Psicologia per il marketing, Bologna, Il Mulino, 1997, pag. 249
[2] Segrestin, D., Sociologia dell’impresa, Bari, Dedalo, 1994, pagg. 149-150
Leggi pure: QUALE LEADERSHIP PER QUALE ORGANIZZAZIONE https://giuseppesalvato.it/?p=173
10 TESI PER LO SVILUPPO AZIENDALE https://giuseppesalvato.it/?p=217