PREMESSA
La Treccani associa al termine “diffidenza” le parole perplessità, scetticismo, sfiducia, sospetto, timore. Insomma, il diffidente frappone una barriera tra sé e gli altri: ostacolo fisico, intellettuale, emotivo.
IL DISASTRO DEI BIAS COGNITIVI
La diffidenza è una brutta bestia, non di rado indomabile, che nutriamo spesso inconsapevolmente al nostro interno attraverso il bias cognitivo di conferma, che dà forza alle profezie autoavveranti (ciò che intendiamo osservare è anche solo quello che riusciamo a vedere, trascurando tutto il resto, e che ci conduce a confermare giudizi già scritti nella nostra mente), ovvero grazie al bias dell’illusione della frequenza (pur basandoci su fatti oggettivi, iniziamo a vedere ovunque conferme di quanto abbiamo fatto già esperienza. Al contrario, grazie al bias dello struzzo, nascondiamo la testa nella sabbia quando ci vengono presentati dati che contrastano con le nostre convinzioni), nonché al bias della negatività (tendiamo a dare maggior peso agli aspetti negativi rispetto a quelli positivi, così da evitare brutte sorprese).
Non ci rendiamo conto che il modo con cui guardiamo agli altri condiziona il modo in cui gli altri reagiscono al nostro cospetto e il modo di giudicare gli eventi condiziona lo spirito con cui affrontiamo le minacce ma anche le opportunità della vita.
BASI OGGETTIVE E BASI SOGGETTIVE DELLA DIFFIDENZA
A volte la diffidenza ha basi oggettive, anche se spesso ancorate ad esperienze passate, che generalizziamo, non collegabili ai soggetti con cui ci relazioniamo nel presente (“I collaboratori tendono al menefreghismo”, “I figli non sono riconoscenti”), altre volte ha basi soggettive, fondate sulla nostra ansia, sulla preoccupazione che blocca ogni atteggiamento di favore verso il nostro interlocutore (“Vendo, e se il cliente poi non paga?”, “Assumo e lo formo, ma se poi va via?”). Questa è la pre-occupazione: con i nostri pensieri e i nostri stati d’animo occupiamo la nostra mente prima che un fatto evidente ed oggettivo accada per davvero!
DIFFIDENZA E AMIGDALA
In tutto questo l’amigdala, collocata nel nostro cervello arcaico, gioca un ruolo cruciale: il fidarsi a prescindere significa per essa mostrare il fianco a chi potrebbe approfittare di noi e, pertanto, dal profondo della mente proviene un segnale improntato alla prudenza. L’amigdala, quindi, preferisce preservarci al momento presente, non arrivando ad elaborare una strategia comportamentale vantaggiosa nel medio-lungo termine.
Purtroppo ci vede benissimo, ma solo da vicino: come ci sentiamo quando camminiamo in una stanza buia? Rallentiamo, mettiamo le mani avanti, esitiamo per evitare intoppi, cadute improvvise e magari dolorose…
Per di più gli stati emotivi, si sa, sono alquanto infettivi. E quando si genera una relazione gerarchica (si pensi al lavoro, ma anche tra genitori e figli) chi è “sopra” ha un potere di “contaminazione” superiore.
CONCLUSIONI: LA DIFFIDENZA COSTA
E allora, poniamoci due semplici quesiti: come facciamo sentire le persone quando le filtriamo attraverso la nostra diffidenza (sguardi, atteggiamenti, parole dette e non dette, rimproveri e apprezzamenti stentati,…)? Come esse oggettivamente reagiscono (e come vorremmo che reagissero)?
Purtroppo c’è una stretta correlazione tra le due risposte e, ahimè, le nostre aspettative verranno disattese se avviamo una relazione col passo sbagliato.
Ecco, se vogliamo allontanare gli individui da noi la nostra diffidenza è perfetta per ottenere il risultato. Purtroppo non sempre l’allontanamento è fisico, concreto: nei rapporti familiari può addirittura essere più semplice che in quelli lavorativi, dove un vincolo contrattuale (fino a quando la sopportazione lo consente) spesso costringe ad una vicinanza sempre più falsa, improduttiva, inefficiente.
Ne consegue che la fiducia costa, ma la diffidenza costa ancora di più…
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